Gli stranieri del Parco (1)
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Gli stranieri del Parco non sono mai stati tali. Nessuno era straniero , tutti avevano diritto di cittadinanza nel rettangolo di asfalto del Sempione. Uno dei primi giocatori con cui ho avuto il piacere di giocare era un tale Antoine, vero e proprio uomo che giocava al piano di sopra. Tatuatissimo, pizzetto, capelli lunghi sulle spalle, giubbotto da biker si presentava al campo per stupire tutti con i suoi salti. Non si è mai capito da dove venisse, credo che nessuno glielo abbia mai chiesto perchè lasciava a bocca aperta con le sue stoppate e le sue schiacciate (allora, era il 1978 alla televisione guardavamo Federale-Vevey oppure Jugoplastica-Partizan non certo l'NBA). Di diritto nella galleria degli stranieri che hanno fatto il Sempione luogo melting pot per eccellenza c'era Dino. Era nero, ma nero nero, veniva dalla Libia e lavorava per conto del governo di Gheddafi. Era il giocatore più scarso del pianeta ma aveva sempre il sorriso e due figlie piccolissime e bellissime nate dal matrimonio con una donna italiana. Faceva tiri improponibili e tentava assurde serpentine che gli costavano spesso i rimproveri dei compagni. Nel periodo della crisi con la Libia temeva ripercussioni nella sua vita familiare ma andava orgoglioso della sua nazione che si opponeva al gigante americano. Mi ha addirittura regalato il libretto verde che ai tempi il Colonnello aveva pubblicato per la via verde al socialismo. Gli americani hanno fatto capolino spesso al Sempione; molti modelli delle sfilate di moda milanesi non sapendo come passare il proprio tempo tra un casting e l'altro venivano a sfidare i loro coetanei italiani. Spesso le partite finivano in colossali corpo a corpo che a furia di falli mortali determinavano la durata dei match in interminabili ore di gioco con il pubblico che apertamente incitava gli uni e gli altri. Le squadre più rognose venivano affrontate dagli special team: uno memorabile formato da parte della storica squadra estiva dei 'Catchman' dal nome che era tutto un programma, affrontò gli americani più stronzi e fastidiosi che siano mai approdati in Italia. Max'Cavallo'Contiero, Massimo Marchetti, Paolo Rosa Brusin, ne facevano parte e me lo ricordo bene perchè la partita finì con Max a cavalcioni sul più spocchioso degli yankee deciso a frantumargli il naso e bloccato da decine di persone. Alcuni yankee erano però dei nostri come Tom, biondo modello ambito dalle frequentatrici del playground, che ha diviso con noi i pomeriggi estivi al Lido oppure Chuck che giocò nel college con Strickland e che ha sposato la donna più bella che sia mai apparsa al Sempione, per non dire del colored che per qualche tempo ha calcato il glorioso asfalto e che scoprimmo essere uno dei più grandi artisti di sprayart mondiali. Ma anche Brendan, modello molto ricercato dalle case di moda era un ottimo giocatore e una brava persona, mentre il primo di questi esseri provenienti dal pianeta americano era il fratello di una giocatrice che all' inizio anni 80 giocò nella GBC Milano, ricordata per la sua avvenenza più che per le sue doti balistiche.Si chiamava Rick Hile ed aveva gli occhi color ghiaccio, un torace da invidia e una bandana rossa a mo'di fascia sulla fronte, faceva sempre canestro e si scoprì trafficava in diamanti.C'erano poi Trisha e il fratello Tom che nel 1983 passarono l'estate a Milano. Mi ricordo di Robino che flirtava con questa biondina mentre suo fratello giocava con i blu nel torneo di agosto e che mentre andavamo a bere qualcosa da Lunico, bar frequentato da fascistelli durante l'anno ma che d'estate era privo di tale feccia e soprattutto era l'unico aperto e decente nella torrida estate metropolitana, Max raccontò per scherzo alla quindicenne che faceva parte di un gruppo eversivo vicino alle Red Brigades e questo terrorizzò la bionda adolescente stelle e strisce. Un giorno di una decina di anni fa apparve poi verso l'imbrunire un signore alto circa due metri, forse poco più, dai capelli rossicci e fisico scultoreo. Chiese se poteva giocare con noi . Era un vero pivot, dimostrava 35 anni ma ne aveva una decina in più, giocava in maniera dura ma leale, non chiamava mai fallo e ne faceva alcuni duri ma giusti come quelli che spendono i veri fighter che piuttosto di farti segnare le provano tutte. Mi venne un lampo in testa, una specie di folgorazione: io l'avevo visto sulle figurine quella faccia, era Art Kenney, mitico protagonista del Simmenthal Milano famoso per i suoi duelli con Dino Meneghin. Un giorno d'estate di 15 anni fa, mentre la domenica pomeriggio si accingeva ad entrare nel vespero, presente la mitica Giovanna colonna del SPio X e zia di Gibi,si è avvicinato un uomo di colore vestito con camicia bianca , pantaloni e sandali da infermiere dello stesso colore, occhiali da sole tipo marine, chiedendo gentilmente di fare due tiri. Alto 170 cm più o meno, muscoloso ma non palestrato, dimostrò una scarsa dimestichezza coll'arnese arancione che ci fa soffrire. A un certo punto scoppiò un violento litigio tra due giocatori sconosciuti sfociata in qualche colpo proibito, spinte e sberloni. L'uomo vestito di bianco si fece in disparte e continuò a giocare, a tirare, placido e tranquillo. Solo allora capii che era Marvin 'the Marvellous' Hagler campione del mondo dei pesi medi, il pugile dopo Mohammed Alì che più mi aveva entusiasmato e vederlo davanti a me mi fece pensare a tutti i match da lui vinti con quel fisico che non mi avrebbe fatto tirare indietro se mi avesse provocato o se ci fossimo urtati più del lecito in campo. Mai fidarsi delle apparenze. Ma lo straniero per eccellenza del Sempione è stato Fleming. Il danese era stato ottimo giocatore nelle giovanili dell'allora Cinzano insieme a Francesco Anchisi ma non potè per molti anni calcare i parquet milanesi perchè non ha mai voluto saperne di prendere la cittadinanza italiana e fare il militare. Manuale di fondamentali vicino a canestro, anguillesco nel modo di muoversi, grande patito di Bruce Springsteen, una volta mentre giocava a Corsico in Prima Divisione allenato dal mitico Massimo Tassan, altra leggenda del Sempione e avendo come compagni di squadra Charlie Fassera, Giulio Massa e altri campettari passò alla storia. Quando l'arbitro, dopo avere introdotto il riconoscimento dei giocatori dicendo: 'Per cortesia nome, numero e capitano, grazie' ,arrivò al momento del documento del danese il malcapitato disse :'Fleming' non ricevendo risposte. Ancora disse: 'Fleming'. Spazientito urlò: 'Fleming!!!!' alchè il danese disse seraficamente 'E' inutile che urli. Non è colpa mia se lei continua a dire il mio nome. Il mio cognome è Hansen, Fleming è il mio nome di battesimo'. Ah, dimenticavo, ha giocato un torneo preolimpico di selezione nella nazionale danese giocando da playmaker approfittando delle ferie che si era concesso da sè, fu scelto per disputare le qualificazioni per andare ad Atlanta ma essendo un piccolo imprenditore non poteva partecipare allo stage di preparazione e rinunciò. Maledetto il lavoro!!!! Anche Albione ha dato giocatori al Sempione. Verso la fine degli anni 80 d'estate venne un biondo di 190 cm atletico, tecnico e pure simpatico. Scoprimmo che era il playmaker del Crystal Palace campione d'Inghilterra e che giocava la Coppa dei Campioni, era di poche parole ma buone mani. Non altrettanto si può dire del camionista gallese che nel 1980 venne per qualche tempo a giocare con noi. Era la persona che incarnava il mito di Ercole. Grande e grosso, diciamo due ante, sgraziato ma combattente, il canestro era per lui una chimera ma i rimbalzi era difficile che non cadessero nelle sue mani. Mi ricordo che nel periodo di Carnevale quando bande di teppisti in quegli anni infestavano il centro di Milano a gruppi di trenta persone tirando arance solcate da taglienti lamette e distribuendo schiume depilanti sulle chiome dei malcapitati di turno. Una di queste bande si avvicinò al campo con intenti aggressivi nei confronti del sottoscritto reo di non essersi fatto sottomettere alla logica mafiosa  nei mesi precedenti nel quartiere. I loro intenti aggressivi furono sedati piuttosto faclmente: il camionista disse :'A me date questo, quello e quell'altro', Tassan disse: 'Il primo che mette il piede qui sopra lo stendo io, gli altri poi ci pensiamo'. Gia mi pregustavo la scena a cui non avrei mancato di fornire il mio contributo quando i delinquentelli se ne andarono in cerca di altre avventure e trovarono sulla loro strada guai a iosa perchè un gruppo di studenti del mio liceo che andava alla ricerca di queste bande per ridurle giustamente all'impotenza li incontrò sul limite del parco e ne fece mattanza.