Anno 1 Numero 11 (22) 18/02/2001 | Arretrati |
EGOCENTRISMO IMBECILLE
La tempesta dopo la quiete, l'importante è essere, il centro dell'attenzione ovviamente. Come testimonia l'ultimo diluvio di insulti, deliri e perché no atti di contrizione per la verità patetici, la summa di tutto resta il desiderio di farsi notare nel mare del nulla. Quanto più non si ha niente da dire o da fare, tanto più si cerca di dimostrare il contrario, ci si arrampica su specchi di giustificazioni non richieste, insomma si cerca di dire per non essere da meno. Ripeto il sito, ma non solo quello, l'intero mondo o filosofia imbecille è finito da tempo, potremmo dire, parlando di un libro o di una composizione musicale, che è stato pubblicato postumo, epitaffio con buone intenzioni, ma miseramente naufragato nell'autocompiacimento e nella vacuità dell'attuale momento storico e soprattutto intellettuale dell'universo imbecille. L'imbecille storico non esiste più vittima della sua vanità, delle sue contraddizioni, rimane solo il suo egocentrismo, il suo voler apparire anche non apparendo o non avendo nulla da dire o facendo qualcosa che non significa nulla neanche nell'universo imbecille. Per cui ci si trova di fronte a gente che scrive e dice qualcosa pur dare un segno di sé, altri che non scrivono o dicono qualcosa pur di farsi notare per la loro assenza, altri che non fanno o dicono nulla perché ormai sulla via del tramonto, leggi pensione. Non si può trarre una conclusione o una morale assoluta da ciò, chi è in grado di intendere dia la giusta valutazione del fenomeno, per il resto meglio tacere e lasciare che la storia faccia il suo corso, tanto ognuno penserà di aver ragione e dirà "Guarda che stronzate sta scrivendo questo". Live and let die (Paul Mc Cartney) Abelardo Norchis |
IL GIUNCO AGGIUNGE ALCUNE PAROLE NON SUE
Essere, o non essere...
questo è il nodo: se
sia più nobil animo
sopportar le fiondate e le
frecciate
d'una sorte oltraggiosa,
o armarsi contro un mare di
sciagure,
e contrastandole finir con
esse.
Morire... addormentarsi: nulla
più.
E con un sonno dirsi di por
fine
alle doglie del cuore e ai
mille mali
che da natura eredita la carne.
Questa è la conclusione
che dovremmo augurarci a mani
giunte.
Morir... dormire, e poi sognare,
forse...
Già, ma qui si dismaga
l'intelletto:
perché dentro quel
sonno della morte
quali sogni ci possono venire,
quando ci fossimo scrollati
via
da questo nostro fastidioso
involucro?
Ecco il pensiero che deve
arrestarci.
Ecco il dubbio che fa così
longevo
il nostro vivere in tal miseria.
Se no, chi s'indurrebbe a
sopportare
le frustate e i malanni della
vita,
le angherie dei tiranni,
il borioso linguaggio dei
superbi,
le pene dell'amore disprezzato,
le remore nell'applicar le
leggi,
l'arroganza dei pubblici poteri,
gli oltraggi fatti dagli immeritevoli
al merito paziente,
quand'uno, di sua mano, d'un
solo colpo
potrebbe firmar subito alla
vita
la quietanza, sul filo d'un
pugnale?
E chi vorrebbe trascinarsi
dietro
questi fardelli, e gemere
e sudare
sotto il peso d'un'esistenza
grama,
se il timore di un "che" dopo
la morte
- quella regione oscura, inesplorata,
dai cui confini non v'è
viaggiatore
che ritorni - non intrigasse
tanto
la volontà, da indurci
a sopportare
quei mali che già abbiamo,
piuttosto che a volar, nell'aldilà,
incontro ad altri mali sconosciuti?
Ed è così che
la nostra coscienza
ci fa vili; è così
che si scolora
al pallido riflesso del pensiero
il nativo colore del coraggio,
ed alte imprese e di grande
momento,
a cagione di questo, si disviano
e perdono anche il nome dell'azione.
(Vede Ofelia)
Ma zitto, adesso!... La leggiadra
Ofelia!
Ninfa, nelle tue preci
rammemoràti siano i
miei peccati.
William Shakespeare Amleto
Atto III Scena I (il celeberrimo monologo) Tratto da Liber
Liber
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